‘La buona educazione degli oppressi’ è il titolo di un libro di Wolf Bukowski, che definisce così la progressiva affermazione di un’ideologia improntata al decoro e alla lotta al degrado negli spazi urbani. Di per sé, in linea di massima potrebbe essere un’idea condivisibile. I centri urbani appaiono quindi puliti e ordinati, organizzati come un centro commerciale, con le vie per lo shopping e la movida disciplinata e veicolata entro spazi a carattere commerciale.

Piazze, locali pubblici, spazi all’aperto, sono da sempre configurati come luoghi di “aggregazione spontanea”. In questo modello di città, orientato al decoro, la fruizione di questi spazi avviene preferibilmente se si è paganti e si consumano beni. Il cosiddetto “giovane”, categoria che sfugge al legame con un determinato lasso di tempo, è ben accettato se spende soldi al negozio di turno o se sta al bar bevendo la sua costosa bibita (basti pensare alle maggiorazioni di prezzo delle consumazioni stando seduti).

Se quella stessa “aggregazione spontanea” avviene sul sagrato della chiesa, o nella sosta prolungata sul muretto della strada o della piazza, può venire percepita come una minaccia al decoro e all’ordine pubblico. Questi spazi non sono percepiti come predisposti per questo genere di attività. Ecco allora insidiosa farsi strada la trasformazione del nostro “giovane”, che da profumato e griffato consumatore pagante, lascia il posto al “lupo mannaro”, brutto sporco e cattivo. E si sa, le ore serali sono meravigliose per marcare il territorio, per appropriarsi indebitamente dello spazio, lasciando i segni della propria presenza, la zampata rabbiosa che sfregia il delicato e ordinato “salotto buono”. Perseguendo questa logica di decoro, la città ha un ruolo fondamentale. Negando gli spazi di socialità che nascono fuori dai circuiti commerciali, sgomberando con azioni violente i luoghi occupati, investendo in modo massiccio in videosorveglianza, lo spazio pubblico perde la sua funzione aggregante. Viene inibito e negato a chi non consuma, a chi non si identifica con forme di socialità omologata, a chi non ha i mezzi. Promuove una verticalità della società. Chi sta in alto e chi in basso. Chi può e chi non può. È un modello di città espulsivo ed esclusivo che genera attrito sociale.

La cifra vincente delle città europee è un’idea di urbanità che promuove l’ospitalità dei luoghi, la predisposizione ad accogliere e incentivare le relazioni umane facilitando gli scambi e la comunicazione fra diversi. La qualità della convivenza civile è il motore per una cittadinanza tollerante e inclusiva, per sviluppare un senso di appartenenza e cooperazione. Poter pensare che ci sia davvero spazio per tutti. Perdere questo senso dell’urbanità significa perdere cultura civile. Sono i comportamenti a rendere belle le città, a formare l’habitus dei cittadini, prima delle piazze ripulite e dei “salotti buoni”.

di Angela Andolfo Filippini, membro direzione Ps Lugano (La Regione del 24 agosto 2024)