Pubblichiamo qui l’interessante articolo dello storico Danilo Baratti sulla proposta di portare ed esporre il Patto Federale a Lugano.

Lo scorso 4 agosto, di passaggio a Svitto, sono tornato a visitare il Museo dei Patti federali e il Forum di storia svizzera (ci ero già stato con delle classi liceali). Di fronte alle varie pergamene che mostrano il formarsi dell’antica Confederazione, non ho potuto non pensare alla proposta presentata pochi giorni prima al Municipio di Lugano, tramite un’interpellanza, da una trentina di Consiglieri comunali: quella di esporre a Lugano il patto federale del 1291 e il patto di Brunnen del 1315. Scrivono gli estensori dell’interpellanza: «Lo scopo, oltre a sottolineare la nostra storia, la coesione e l’identità nazionale se ben pubblicizzato e sponsorizzato, (eventuale collaborazione/sponsoring con privati) potrebbe portare un beneficio straordinario al Comune di Lugano, alla Regione e così al Cantone, combinando magari parallelamente conferenze sui temi storico-culturali e ampliando l’offerta al pubblico. Non meno aiuteremmo a rafforzare l’immagine culturale cittadina, così come il turismo interno e quello estero» (riprendo alla lettera).
Magari qualcuno, tra i consiglieri sollecitati, ha sottoscritto il testo frettolosamente, allettato dall’idea di lanciare un ‘evento’ a vantaggio della città, senza riflettere più di tanto sulle varie implicazioni della proposta, che a me pare del tutto inopportuna. Le attese turistiche sono illusorie: non vedo come l’esibizione di quei due documenti possa rafforzare il «turismo estero» (il successo della mostra in Pennsylvania nel 2006, ricordato nell’interpellanza, si deve a un contesto del tutto particolare). Lasciamo questo compito a Picasso. Ma quello turistico è un aspetto secondario: prima ancora delle sue eventuali ricadute sugli affari o sul prestigio culturale (?) della città, è l’idea stessa a essere discutibile.
Anche se gli interpellanti propongono di organizzare («magari»), accanto all’esposizione, non meglio precisate «conferenze sui temi storici e culturali», l’esibizione separata di quei due patti tende in sé a promuovere un messaggio superficiale e fuorviante. Ciò che non capita al Museo dei Patti federali di Svitto, dove decine di pergamene sono presentate, con consapevolezza storica, in un ottimo allestimento che illumina il contesto in cui prende forma l’antica Confederazione. Il visitatore, passo dopo passo (e patto dopo patto), si rende conto che «la costituzione di un’alleanza era sempre mossa da forti interessi politici o militari di parte e si stringevano leghe solo se servivano a un vantaggio proprio. Ebbe così origine un’intricata rete di alleanze in costante mutamento e priva di stabili contorni» (catalogo ufficiale del museo, p. 125). Di quella rete fa parte anche il patto del 1291 (che molto probabilmente, ci informa il museo, è stato redatto qualche anno più tardi e poi retrodatato): come ha ben spiegato lo storico Luigi Lorenzetti sul «Corriere del Ticino» del 10 agosto, «è un documento del tutto analogo ad altri trattati stilati in varie regioni alpine in epoca medievale». Alla fine del percorso si chiarisce al visitatore che «lo Stato federale nacque a seguito di vari e complessi sviluppi, coincidenze storiche e rotture. Non esiste pertanto alcuna correlazione diretta fra la genesi della vecchia Confederazione del XIV secolo e lo Stato federale del 1848» (catalogo del museo, p. 225).
Prima di accedere alla sala dei patti, in un’area introduttiva a pianterreno, il visitatore si confronta con le diverse interpretazioni succedutesi nel tempo in merito alle vicende dell’antica Confederazione. Dopo il 1848 la storiografia è stata «chiamata a lavorare alla costruzione di un passato comune per il giovane Stato federale che permettesse di superare tutte le tensioni e di forgiare un’identità svizzera comune a tutti i cantoni e a tutte le confessioni» (p. 33). È in quel contesto che si è voluto vedere nel patto del 1291 l’atto fondatore della Confederazione. Il primo allestimento del Museo dei Patti federali, inaugurato nel 1936 in piena «Difesa spirituale», rispecchiava ancora pienamente questa concezione, esibendo al centro della sala un «Altare della Patria» con il patto del 1291 e quello del 1315. Nel 1979 l’allestimento fu cambiato, perché «occorreva acquisire in maniera opportuna i nuovi sviluppi della ricerca storiografica che riguardavano in primo luogo la ‘demistificazione’ dei patti federali del 1291 e del 1315 dal loro ruolo di ‘atti fondatori’». Di conseguenza tutti i patti federali dal 1291 al 1513 vennero esposti in una grande vetrina circolare.
Nel 1998-99 vi fu un terzo allestimento, che mise nuovamente in rilievo il patto del 1291 «ma non più nell’accezione di ‘atto fondatore’, quanto come reperto culturale di prim’ordine preservatosi allo stato originale» (p. 64). Il documento fu allora «messo in relazione con altri documenti coevi» e contestualizzato con opportune spiegazioni. Impostazione poi perfezionata con l’allestimento attuale, realizzato nel 2013-14, che riflette anche un «nuovo interesse scientifico nei confronti dei miti, nel tentativo di analizzarli da una prospettiva più distaccata e attribuire loro un proprio valore» (p. 73). «Storia tra miti e fatti», si intitola infatti il pieghevole che promuove il museo: dove si intende che anche i miti – primi fra tutti quello di Guglielmo Tell e quello della nascita di una nazione nel 1291 – hanno giocato un ruolo nella faticosa costruzione della compagine statale svizzera e della mentalità collettiva.
Ora, per tornare all’interpellanza, esibendo solo i patti del 1291 e del 1315 si vorrebbe in fondo riproporre a Lugano una concezione decisamente datata di questo nostro guardare al passato, simile a quella che ha portato al primo allestimento negli anni Trenta. La cosa non stupisce se pensiamo agli ambienti da cui muove la proposta: sono gli stessi che hanno chiesto in questi anni, per esempio, l’insegnamento dell’inno svizzero a scuola, l’esposizione permanente della bandiera svizzera sugli edifici pubblici, e ora un insegnamento della civica più normativo e meno formativo. Un patriottismo semplificatore ancorato ai simboli.
Il Museo dei Patti federali, che è una sezione del Museo nazionale svizzero, si muove invece in altra direzione, assumendo la complessità e le contraddizioni del passato e costruendo su quei preziosi documenti un percorso che pone le basi per una cittadinanza più consapevole della propria storia (e di riflesso più consapevole anche di fronte al presente e alle scelte future). Oggi, con la galleria ferroviaria di base, si arriva da Lugano all’ingresso del museo in meno di due ore. Che senso ha esporre a Lugano i due documenti più ‘carichi di mito’ quando è così facile (e piacevole) andare a Svitto? Lì i documenti sono ben valorizzati nella loro dimensione storica e nel loro significato simbolico, proprio ai piedi delle spettacolari montagne che li hanno visti nascere. E a due minuti a piedi dal Museo dei Patti federali c’è un’altra bella sezione del museo nazionale svizzero, il Forum della storia svizzera, pure centrato sulle origini della Confederazione, adatto anche a visite con bambini. In entrambi i musei tutte le spiegazioni sono in quattro lingue, tra cui ovviamente l’italiano.

Quindi, se davvero vogliamo conoscere le origini dell’antica Confederazione, oltre che contemplare il più celebre tra i patti, tutti a Svitto!

Danilo Baratti, storico, i Verdi di Lugano