Piccola radiografia sul nostro stato di salute sociale: gli economisti ci dicono che il fossato fra ricchi e poveri sta aumentando ed è ormai un baratro; il Barometro delle famiglie ci ha informato che la pressione finanziaria, in particolare in Ticino e Romandia, ha ormai raggiunto livelli di guardia, visto che per il 52% il reddito è appena sufficiente o non lo è affatto (impossibile risparmiare qualcosa per i tempi grami, ché i tempi grami sono adesso); pure a disagio giovanile non siamo messi bene, con indicatori in crescita e ormai giunti a livelli definiti dagli esperti «allarmanti».
Allarghiamo lo sguardo: in Europa un quarto della popolazione è a rischio di esclusione sociale. Restringiamolo: in Ticino 80.000 persone – circa il 23% dei cittadini – sono a rischio povertà. Intergenerazionale: sempre più pensionati non ce la fanno ad arrivare a fine mese, sempre più giovani sono indebitati.

Non tutti sono d’accordo sui rimedi. C’è chi ritiene opportuno che il capitalismo torni a bilanciare gli utili con politiche sociali e chi, al contrario, sostiene che le imprese debbano puntare al massimo profitto perché per la teoria dello sgocciolamento avere aziende sane dona benefici a tutti.

Mi guardo in giro, rileggo i dati e confesso le mie perplessità, perché se fosse vero l’assunto liberista qualcosa deve essere andato storto, dato che i ricchi sempre più ricchi non mi pare abbiano provveduto a far diventare i poveri meno poveri. Né a rimpolpare il ceto medio, classe sociale ormai destinata a figurare sulla lista delle specie in via di estinzione.

Il risultato? Aver convinto molti cittadini impoveriti che la democrazia liberale sia diventata un’oligarchia che rappresenta soprattutto gli interessi dei «poteri forti» e poco o nulla quelli delle persone (l’indegno recente spettacolo delle nomine dei magistrati non l’ha certo smentito), e di conseguenza aver spalancato le porte a quelle destre che proclamano di essere dalla parte dei meno abbienti ma che poi alla prova dei fatti attuano politiche che non solo alla gente comune badano poco, ma che anzi spingono in direzione ostinata e contraria (l’indegno recente spettacolo delle nomine dei magistrati l’ha confermato). Perché il rispetto dello Stato di diritto e la separazione dei poteri, fondamenti su cui si basa la nostra democrazia, non è certo fra i loro obiettivi primari. «Il nuovo stato che stiamo costruendo è uno stato illiberale»: lo affermò il premier ungherese Orban nel 2014: gli altri suoi sodali, anche nostrani, vi si sono da tempo accodati.